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ALCIDE PRATI, dalla bassa alle vette

25 Nov 2016, 11:04 | Attualità News Spettacoli | Scritto da : Reporter

ALCIDE PRATI, dalla bassa alle vette

A SUZZARA C’È UN ALPINISTA CHE SCALA LE MONTAGNE PIÙ BELLE DEL MONDO
di gabriele cantarelli

A Tabellano, frazione di Suzzara, qualcuno in passato lo ha preso un po’ per pazzo definendolo “Al Mat ed Tabulan”. Me nel resto d’Italia, soprattutto tra gli appassionati di arrampicata alpina Alcide Prati è un vero e proprio “mito”. Nato a Pegognaga 71 anni fa, Prati vive a Tabellano di Suzzara dove durante la settimana lavora come autotrasportatore. Ma nei week end lascia il camion per cimentarsi sulle vette dolomitiche che ormai frequenta da più di 40 anni. E non solo. Visto che alle imprese ad alta quota affianca anche l’attività di ultra-maratoneta con esperienza di corsa anche del deserto.

Prati, come si diventa un “mito” della montagna nascendo nella bassa mantovana?
Il mio primo incontro con le montagne risale agli inizi degli anni ’70. Con la parrocchia si andava in campeggio a Molveno. Lì conobbi alcuni ragazzi padovani che facevano ferrate sulle Dolomiti. Tornando a casa mi iscrissi ai corsi di roccia del Cai di Mantova. Pochi anni dopo ho capito che quella era la mia vita.

Difficile però praticarla stando a centinaia di km di distanza dalle vette.
Ho vissuto per qualche anno a Bassano del Grappa. Da lì le vette delle Dolomiti non sono così lontane. Ho tanti amici tra gli alpinisti bellunesi.

Quali sono le montagne più belle?
Tutto l’arco alpino, in particolare le Dolomiti. Potrei citare le Pale di San Martino o il gruppo del Civetta. Ma la realtà è che la vetta più bella è sempre quella che devo ancora scalare.

Mi parli di quella salita sul Civetta del 1990 che ancora viene ricordata sui libri di alpinismo come una delle imprese più incredibili?
Ho sempre visto le cose con animo sportivo e con l’idea di fare qualcosa che non ha mai fatto nessuno prima. Proposi all’amico Manrico Dell’Agnola, uno dei più grandi alpinisti italiani, di concatenare Philipp Flamm e Solleder sulla grande parete della Civetta. Ricordo la sosta al rifugio Torrani con spuntino a base di minestrone e birra. In meno di una giornata compimmo l’impresa.

Cosa si prova una volta raggiunta la cima?
Emozioni fortissime e difficile da spiegare. Guardi, nella mia vita ho fatto tantissimi sport, dalla maratona allo sci alla bicicletta. Ma nessuno di questi è paragonabile alle emozioni che ti sa regalare la montagna. Ancora oggi, a 71 anni, sento l’adrenalina quando scalo una nuova parete.

Mai avuto paura?
Certo, soprattutto al termine di un’escursione ripensando a quanto fatto. Durante la scalata è superiore il livello di adrenalina che ti fa mantenere la freddezza e i nervi saldi. Mi sono capitate situazioni di rischio, ma per fortuna me la sono sempre cavata, ma ho provato il dolore e le lacrime nel soccorrere compagni o escursionisti rimasti vittime di cadute. Purtroppo l’alpinismo è per definizione un’attività pericolosa. Per questo è fondamentale conoscere ciò che si fa per ridurre al minimo i rischi.

In questo la tecnologia può essere d’aiuto?
Mah, sono un po’ scettico. Quando sei lassù non ci sono telefonini o Gps che tengano. Non vorrei che, affidandosi troppo alla tecnologia, si andasse in montagna senza avere la giusta preparazione e conoscenza.

Non hai mai pensato di emulare Messner e scalare l’Himalaya?
Messner è un grande, anche per il solo fatto che ha fatto per primo cose che nessuno aveva mai osato fare. Per andare sullì’Himalaya però servono condizioni particolari come un lavoro che ti consenta di stare via per tre mesi. Io che sono un autotrasportatore questo non me lo posso permettere. E poi, la montagna non l’ho mai vista come una professione, ma come una grande passione, come uno stile di vita.

Esperienza e maturità: com’è fare alpinismo superati i 70 anni?
L’età conta sia a livello fisico che mentale. Impari ad essere più prudente, a ponderare i rischi. Se qualcuno mi proponesse adesso di fare dei concatenamenti slegati risponderei picche. Ma da giovane l’incoscienza ti porta a rischiare di più, quel quid che poi ti permette di fare l’impresa.

 


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