Ultimo aggiornamento : 12 Mar 2024, 10:00

C’era una volta Reggio: il duro j’accuse di Marco Fantini

25 Lug 2014, 11:50 | News Politica | Scritto da : webrep

Fuori dagli schemi e coraggioso nelle sue scelte politiche. Marco Fantini è stato prima un consigliere comunale e poi un assessore provinciale che, pur oscurato dalla nomenclatura e dal potere mediatico reggiano, ha saputo lavorare a testa alta, spesso anticipando problematiche poi fatte proprie da altri (il caso più clamoroso è quello della lotta al gioco d’azzardo). A conclusione della sua attività amministrativa, Fantini ha scritto una lettera in cui fa il sunto di questa esperienza. Rivendicando quanto di buono fatto, attaccando senza mezzi termini il viceministro Delrio e constatando con amarezza il declino di una Reggio alla ricerca della moralità perduta.

NON SONO UN VOLTAGABBANA
“Il mandato amministrativo è giunto al termine – attacca Fantini – e vorrei concluderlo con una riflessione che abbozzi un bilancio della mia esperienza politica ed amministrativa. Innanzitutto ci tengo a chiarire un aspetto, anche per smontare l’ingiusta accusa che qualcuno mi ha mosso di esser un voltagabbana. Ho iniziato la mia esperienza politica nei Cristiano- Sociali, movimento che ebbe il merito di anticipare l’alleanza tra i cattolici democratici e le forze post-comuniste che poi trovò una sintesi nell’Ulivo. Dopo alcuni di anni di impegno nei Democratici di Sinistra ho maturato una svolta, l’unica della mia vita e la rivendico fino in fondo. Ho sperimentato tutti i limiti e l’angustia di un approccio che, per brevità, chiamerò catto-comunista per approdare ad una visione liberale e conservatrice. Credo che sia un’evoluzione piuttosto frequente e Winston Churcill la sintetizzò mirabilmente nel celebre aforisma. “Chi non è progressista da giovane è senza cuore, ma chi non è conservatore in età adulta è senza cervello”. In quegli anni, nel nostro Paese il campo dei moderati e dei conservatori non era occupato da statisti del calibro di Churchill, ma da Silvio Berlusconi. Optai quindi per l’Italia dei Valori che, pur segnata da gravi limiti sintattici e grammaticali, si faceva apprezzare per la spinta moralizzatrice e per l’adesione ai liberali europei, valori che furono miseramente contraddetti nella fine ingloriosa di un partito che ho lasciato da alcuni anni”.

IL TRADIMENTO DI DELRIO
“Del mio percorso politico – spiega l’ex assessore provinciale – vorrei solo commentare gli esiti delle elezioni amministrative del 2009. Non credo di soffrire di vittimismo ed ho buone ragioni per ritenere che la seconda giunta Del Rio fu costruita con una “conventio ad excludendum” nei miei confronti. Non riesco a spiegarmi in altro modo la decisione del sindaco di avvalersi di una forte componente maschile (attingendo a forze minori come i Socialisti, a Sel fu consentita addirittura una sostituzione donna/uomo) ed infine, come ultimo passaggio Graziano Delrio andò al confronto con l’IDV che, rappresentava la seconda forza della coalizione, imponendo il diktat di una rosa di nomi femminili. Non credo di galoppare troppo con la fantasia se affermo che la mia precedente attività di consigliere comunale non era stata apprezzata, in particolare l’attività che dimostrò la lievitazione nei costi delle opere pubbliche e la poca trasparenza negli appalti. Sono altresì certo che alcune interrogazioni scritte (evidentemente scomode visto che sono ancora in attesa della risposta) consigliarono definitivamente che era meglio tenermi lontano dalle stanze di Piazza Prampolini. E fu cosi che, pur avendo un passato da consigliere comunale, fui catapultato nella Giunta dell’Amministrazione Provinciale”.

IO, LIBERO E ONESTO IN UNA CITTA’ IN DECLINO
“Tutto sommato, sia come consigliere comunale che come Assessore credo di aver avuto qualche merito e qualche intuizione, ma non spetta a me giudicare la qualità del mio impegno. Io ne sono comunque orgoglioso: ho iniziato il mio impegno politico, da persona libera ed onesta e lo concludo analogamente in modo onesto e libero. La soddisfazione personale è però pesantemente offuscata dall’amarezza per aver assistito in questi anni al rapido ed inesorabile declino della nostra città con gli amministratori locali esclusivamente impegnati nella glorificazione delle nostre eccellenze, senza mai affrontare una riflessione seria sulla fine del cosiddetto modello emiliano. Pur vincolato dal mio ruolo di assessore, ho lanciato alcuni moniti, sistematicamente inascoltati e, con grande rammarico e sincera sofferenza, mi è toccato assistere con impotenza al declino vorticoso ed inarrestabile della mia città. Non voglio infoltire le schiere dei catastrofisti, ma credo che alla sanità ed al welfare di prim’ordine possiamo orgogliosamente affiancare i settori di economia sana e le forze del terzo settore, in un quadro che però mostra evidenti segni di sfaldamento della coesione sociale, con una pressione demografica insostenibile, con un panorama urbano desolante (e per molti versi inquietante) che non può esser genericamente liquidato come inevitabile effetto della crisi economica. Non credo sia opportuno elencare la lunga serie di prove a conferma della mia conclusione, citerò solo alcuni fatti paradigmatici: la volontà recente di affrontare il degrado della zona stazione non può occultare il fatto che abbiamo da vent’anni un ghetto unico in Europa e gli amministratori hanno avuto la faccia di bronzo di spacciarlo come modello per le politiche di integrazione; anni di politiche ambientali formalmente all’avanguardia non ci impediscono di avere nel cuore della città una centrale elettrica che non ha eguali nei paesi civili (accetto volentieri di esser smentito con documentazione fotografica), la sventura sportiva della squadra della nostra città si è intrecciata con la torbida vicenda di uno stadio che prima di concludersi con l’acquisto del presidente Squinzi, ha visto l’alternarsi di faccendieri della peggior risma, avvisaglie che agli spiriti più acuti avevano fatto presagire, ben prima delle recenti cronache, che la presunta superiorità morale degli emiliani non è altro che una vuota mitologia. Ed infine lo smarrimento del buon senso collettivo, accompagnato dalla persecuzione del cittadino onesto al quale la burocrazia chiede l’assurda osservanza alle sue regole sfiancanti, mentre il disordine sociale degenera assumendo le diverse fogge della maleducazione, del degrado e della criminalità. Anche se le ultime elezioni amministrative hanno dato un segnale di forte continuità, il tessuto sociale è profondamente lacerato e la cronaca ci restituisce ogni giorno l’immagine di una città profondamente trasformata (troppo frequentemente in peggio) rispetto alla bella Reggio che molti di noi hanno conosciuto. Ho buona memoria e tanti appunti, forse un giorno, li sistemerò scrivendo cos’è accaduto dietro le quinte del governo locale, ma credo che, per ora, queste poche righe possano bastare come commiato dalla vita pubblica. A tutti coloro che, senza nemmeno farsi sfiorare dal dubbio, mi replicheranno che questa è la miglior città in cui vivere e che scelte del governo locale, essendo legittimate dal consenso elettorale sono per loro natura infallibili, auguro di trovare al più presto – conclude Fantini – un’immediata conferma nella realtà, per il bene di Reggio e dei reggiani”.