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Graziano Pompili, profeta in patria

15 Apr 2016, 9:55 | Attualità News | Scritto da : Reporter

Graziano Pompili, profeta in patria

Fino al 30 aprile a Casa Cavezzi la mostra dell’artista montecchiese

 

Continua fino al 30 aprile a Casa Cavezzi la bella mostra “Profeti in patria – Cammini d’artista a Montecchio Emilia”. Montecchio presenta una caratteristica rara, quella di essere una terra generosa di artisti. Vivono infatti in questo piccolo centro maestri di fama internazionale che, come spesso accade, sono scarsamente conosciuti dai loro concittadini. Ci piacerebbe invece che questi artisti potessero essere conosciuti soprattutto qui; non tanto per il loro valore artistico, che sicuramente non ha bisogno di Montecchio per essere riconosciuto, quanto proprio come persone che hanno trovato in questa nostra città il punto di partenza per un cammino che li ha portati a realizzare le loro aspirazioni più profonde. Vorremmo che l’incontro con la loro storia potesse rivelare quanto la nostra terra possa ancora essere “abitata poeticamente” e con passione, nonostante la disillusione e la fatica di questo tempo, se torniamo a vederla come possibilità e non come terra desolata e priva di nutrimento per lo spirito. Credo che il racconto del loro cammino li possa rendere “profeti”, ossia possa farci vedere di nuovo quello che a volte, appesantititi dalle preoccupazioni quotidiane, abbiamo smesso di vedere e di inseguire ovvero il movimento della vita che loro invece, con occhio instancabile, continuano a guardare e a tradurre per noi in opera. La speranza è che possano dare a qualcuno di noi la voglia di ripartire o di partire per la prima volta verso quello che dobbiamo realizzare, affondando i piedi in una terra che, anche grazie alla loro presenza, può ancora esserci madre.  Graziano Pompili ha compiuto, nella sua Via Crucis, una scelta del tutto insolita: nessuno dei corpi che calcano questa tragica ribalta reca la testa, come se in questa rappresentazione fosse necessario alludere a una così peculiare condizione umana. Quando, come nella Stazione VI, finalmente compare una testa, quella di Cristo, che occupa tutta la superficie della formella, essa viene detta con un contorno inciso sulla terracotta: allusione all’immagine, alla sindone, impressa sul tessuto di lino con cui la Veronica ha appena finito di asciugare il volto insanguinato di Gesù. Questo volto è vuoto di linee, come se quei tratti, che segnano l’individualità dell’aspetto di ciascuno di noi, stessero in quel momento per perdersi, in attesa che s’intraveda ciò che in fondo unifica tutti i visi – il cranio, che ci guarda con le sue orbite vuote – o come se, avendo Pompili fatto ricorso, nelle sue figure, a manichini, questi non potessero che avere un volto levigato, senza identità, dai caratteri tanto stereotipati che non vale la pena di descrivere.