26 Giu 2017, 11:50 | Attualità News Spettacoli | Scritto da : Reporter

Nessuno come Vasco ha saputo mantenere con sincerità e coerenza la genuinità del rock di provincia
Ed intanto il tempo crea…eroi. E’ proprio il titolo della stupenda canzone scritta agli albori di una quarantennale carriera a segnare la cifra di quello che Vasco Rossi rappresenta. Un eroe. Che ha saputo attraversare le generazioni, le ideologie, le mode, le abitudini con un’arma che nessun altro aspirante rocker di provincia ha saputo (o potuto) sfoderare con sincerità: la coerenza.
C’è ancora la noia delle giornate estive trascorse a Zocca nel sangue di Vasco. L’odore della corriera presa tutti i giorni per andare a studiare in città percorrendo l’Estense con la neve e il gelo. Lui non ha avuto bisogno di bar o emittenti radiofoniche mai esistite. Né di reinventarsi dietro a una macchina da presa o di mettere il proprio nome sulla copertina di libri scritti, probabilmente, da mani altrui. Vasco parla con le sue canzoni da quando l’Italia non era ancora pronta. Un precursore che a fine anni Settanta si è messo tra l’era dei cantautori (De Andre su tutti) e la scena del nuovo rock che avanzava da Seattle e Manchester, da Londra e Brighton.
L’onda lunga dei cantautori si percepisce proprio nella prima fase, quella di Ma cosa vuoi che sia una canzone (1978) con gemme del calibro di E poi mi parli di una vita insieme, Jenny è pazza, Tu che dormivi piano. Tempo un anno (Non siamo mica gli americani, 1979) ed ecco apparire il Vasco divertente, ironico e autoironico di Fegato, fegato, spappolato, Io non so più cosa fare, Faccio il militare, La strega, Quindici anni fa. E poi quell’Albachiara che segna, con la Silvia del disco precedente, la saga delle canzoni dedicate all’universo femminile. Un’altra metà del cielo, o del disco, che con Vasco dona musica e parole a nomi come Giulia, Sally, Susanna. Il terzo disco è sempre quello più complicato nella parabola produttiva di un artista. Ed è così anche per Colpa d’Alfredo che nel 1980 segna una sorta di “terra di mezzo” senza però tralasciare hit evergreen come Non l’hai mica capito e Anima fragile. Il passaggio sul palco dell’Ariston è il primo tributo pagato al teatrino dello spettacolo italiano, ma serve a rendere noto al grande pubblico un talento finora ristretto nei confini emiliano-romagnoli.
Il disco che, nel 1982, accompagna il primo Vasco sanremese è un mix di generi e stili che ha in Ogni volta, La noia, Canzone e Splendida giornata i singoli più fortunati.
Il grande successo commerciale arriva però l’anno successivo, in concomitanza con il bis sanremese: è il 1983 e Vasco scala le classifiche con Bollicine, Vita spericolata e Una canzone per te. Inizia la stagione dei grandi concerti con i club e i palasport diventati improvvisamente stretti. Come un asso del calcio, Vasco Rossi comincia a riempire gli stadi messi a nuovo dai Mondiali del 1990. A quell’anno risale il primo storico concerto a San Siro con scalette che, accanto ai classici, propongono le canzoni degli ultimi album Liberi Liberi e C’è chi dice no.
Ventenni e trentenni dell’epoca si accalcano sul prato, in quel “fronte del palco” che dà il titolo al primo video concept sotto la regia di Guido Elmi. Gli anni Novanta sono scanditi da sold out e hit a ripetizione con Gli spari sopra e Nessun pericolo per te. Il terzo millennio si apre con Stupido Hotel, Buoni o cattivi e si chiude con Il mondo che vorrei. A 60 anni suonati diventa difficile mantenere fertile e intrigante la vena creativa. Ma neppure gli ultimi due infelici album possono intaccare una carriera che, dopo 40 anni, sabato 1 luglio torna dove tutto era iniziato. Giusto quarant’anni fa. E il tempo ancora una volta ha creato un eroe.
Di Gabriele Cantarelli